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Meloni, perché l’attentato a Trump è un grosso guaio per il suo Governo. E un’opportunità per Salvini

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Secondo quasi tutti gli analisti politici, al di qua e al di là dell’Oceano, l’attentato a Trump potrebbe rappresentare la spinta decisiva per la rielezione di The Donald alla Casa Bianca. E se ciò avvenisse, le ripercussioni sulla politica europea sarebbero inevitabili. Innanzitutto, sul fronte della politica estera e dell’economia. Il punto più delicato riguarda la Guerra in Ucraina. Il tycoon americano ha già dichiarato più volte di voler spingere per la fine immediata del conflitto. La sua posizione sull’invio di armi e sul sostegno a Zelensky è molto lontana rispetto a quella di Biden. Percio i leader europei, come scrive Lorenzo Castellani su Domani, “potrebbero trovarsi costretti ad aumentare rapidamente la spesa militare per coprirsi dal progressivo taglio del sostegno americano” a Kiev. Difficile, in ogni caso, immaginare una prosecuzione del conflitto con gli Usa che si smarcano e la sola Europa che continui a sostenere Zelensky. Una posizione, in ogni caso, che creerebbe una parziale frattura rispetto alla nuova amministrazione repubblicana.

Ci sono altri due punti fondamentali in discussione. Il primo è economico. Trump è noto per le sue politiche protezioniste. Vorrebbe aumentare i dazi sulle merci cinesi, ma in passato le sue decisioni hanno coinvolto anche prodotti europei. Per cui, se il tycoon ripetesse lo stesso schema, gli europei sarebbero costretti a rafforzare il mercato interno. E a creare maggiore liquidità, senza potersi curare dei vincoli di bilancio. Una stretta Usa renderebbe improponibili politiche di austerity, a meno di voler cadere in una pericolosissima stagflazione. Infine, Trump non crede agli accordi multilaterali e ha una pessima opinione dell’Unione Europea, che vede come soggetto debolissimo nello scacchiere internazionale. Quindi le relazioni con lui, se fosse rieletto Presidente, sarebbero più complesse e ogni leader europeo dovrebbe cavarsela da sé. Un quadro che non può che preoccupare Giorgia Meloni, che sull’asse costruito in questi anni con Biden e l’attuale amministrazione Usa ha fondato gran parte della sua aumentata credibilità internazionale.

Se cambiassero le posizioni americane sull’Ucraina, verrebbe (in parte) meno il cuscinetto garantito dalle politiche Atlantiste e anti-Putin sposate senza esitazioni dalla nostra Premier. Anche l’abbandono dell’euroscetticismo da parte di Giorgia, davanti a un Trump che dell’Europa ha poca considerazione, non avrebbe più lo stesso peso. Sotto questo aspetto, l’ascesa di Trump allo Studio Ovale rappresenterebbe invece una bella spinta per Salvini, ormai primo “nemico interno” di Meloni, che sul rapporto privilegiato con The Donald ha puntato le sue carte da tempo. Infine, un mutamento degli equilibri economici con “cambiamenti sul piano internazionale e nelle regole europee”, sottolinea Castellani, costringerebbe la nostra Premier a “cambiare la composizone del bilancio, cioè a tagliare la spesa in alcuni settori e ad aumentarla in altri, oltre a dover cucire con gli altri leader europei nuovi strumenti comuni per gli investimenti”. Una serie di problemi non da poco per Meloni. Anche se i valori politici dei repubblicani americani, in teoria, sono più vicini a quelli del suo partito e più lontani rispetto a leader progressisti come Scholz e Macron, anche per la nostra Premier e per il Governo italiano si tratterebbe di una “rivoluzione” difficile da affrontare.

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